lunedì 16 maggio 2016

Sedona Red Rocks

Ultima tappa: Sedona!

In questa splendida e ordinatissima cittadina, che per la sua eleganza ci ha fatto ricordare la nostra Cortina d'Ampezzo, ci fermiamo due giorni nella speranza di poter fare qualche escursione degna di tale nome. 
Già arrivando da Flagstaff abbiamo potuto ammirare gruppi montuosi di notevole bellezza e nel circondario della stessa Sedona moltissimi pilastri e guglie multicolori caratterizzano gli scenari. 
Purtroppo però le nostre aspettative, forse anche a causa delle poche informazioni da noi trovate, sono andate parzialmente deluse; infatti le due escursioni percorse nei pochi giorni di permanenza hanno fatto a gara su quale fosse la peggiore, nonostante i bei panorami.


In questo breve soggiorno abbiamo potuto notare la notevole differenza di approccio nei confronti dell'escursionismo che hanno gli Statunitensi.

Primo e fastidioso aspetto, quasi tutto si paga e sono presenti numerosi "gabbiotti" per le esazioni delle quote e la segnaletica è esageratamente impattante.

I sentieri poi dimostrano un quasi totale disinteresse per le vette, anche se queste cime risultano oggettivamente difficili da raggiungere senza affrontare difficoltà alpinistiche.

I due sentieri percorsi hanno brillato per insulsaggine, aggirandosi nei dintorni di queste belle montagne, senza mai dare l'idea di dove si andasse a parare e terminando all'improvviso in posti senza nessuna attrattiva.

A malincuore dobbiamo dire che questo era quello che proponevano gli uffici turistici.

La prima escursione volgeva il suo interesse verso la Bell Rock, un interessante pilastro di roccia rossa che ricorda vagamente una campanella.

Alla partenza del sentiero grossi "omettoni" sormontati da una palina indicavano il percorso che, anche forse per una nostra cattiva interpretazione, si è rivelato poco soddisfacente.












Difatti il nostro inutile tentativo di salire in vetta ci ha fatto perdere qualcosa sul giro che veniva proposto....

La seconda escursione si è svolta sul lato opposto della valle percorrendo un fantomatico Jordan Trail che, dopo averci fatto caracollare intorno a delle belle montagne verso le quali non si è mai diretto, ci ha depositati su una strada secondaria percorsa dalle auto.

Speriamo sia stata solo incapacità organizzativa nostra!

Il nostro viaggio si conclude oggi e il bilancio finale non può che essere positivo: le bellezze di questi luoghi sono molteplici e incomparabili e gli Americani complessivamente si son dimostrati simpatici e disponibili e molto rispettosi delle parole date e delle regole.

Il loro modo di vivere però a noi lascia qualche dubbio.....
 















Antelope Canyon




 



Da Page nostro obiettivo e motivo quasi esclusivo del mio attuale viaggio negli Stati Uniti è la visita dell'Antelope Canyon, da me tanto apprezzato nelle foto dei vari post degli appassionati e che non avevo potuto visitare in un precedente viaggio, a causa delle piogge abbondanti.
Qui la stagione monsonica coincide più o meno con la stagione estiva e stranamente, visto il paesaggio, vede copiose anche se brevi piogge.

 Al mattino ci troviamo al punto stabilito per il ritrovo con gli organizzatori del tour ma.....non appena ci avviciniamo al parcheggio, ci rendiamo conto che non sarà una visita tranquilla; difatti uno stuolo di auto stipate di visitatori, fanno passare la poesia e io sono quasi propensa a rinunciare...

Fortunatamente, con il senno di poi, Mauro insiste e mi convince a rimanere e attendiamo pazientemente il nostro turno.
Al momento di partire ci vien da fare i conti: siamo in 5 furgoncini con 14 passeggeri l'uno....il che ci pare voglia dire 70 persone più 5 accompagnatori.
Arrivati all'imbocco del canyon, sede anche del piazzale dove si abbandonano i mezzi, vediamo altre decine di furgoncini, alcuni in partenza per il ritorno e altri che attendono l'uscita dalla gola delle loro "vittime".
La prospettiva non è entusiasmante e il caos sembra farla da padrone.
Pensare di infilarci in uno stretto pertugio, lungo 400 metri e alto oltre i 40 metri, che in alcuni punti permette il passaggio di una sola persona per volta, possibilmente non obesa, ci fa un po' arricciare i capelli sul collo ma............i meravigliosi paciarot navajos dimostrano una capacità organizzativa al di sopra di ogni aspettativa e riescono a intrupparci e regolamentarci in modo tale, da poter percorrere la gola non in totale solitudine, ma in discreta tranquillità.

 


 Lo spettacolo, come vi mostreremo con le foto, è di prim'ordine e ci lascia esterefatti: curve, volte, riccioli, fratture nella roccia, sporgenze di ogni grandezza ci sovrastano, caratterizzate da intense colorazioni che vanno da gialli ocra ai rossi mattone, passando per tutte le tonalità intermedie.
Scorci di cielo blu si lasciano intravedere a volte e ci regalano raggi luminosi che perforano la semioscurità, disegnando rette che esaltano le linee tondeggianti che primeggiano in questo magico luogo.
Tutti i partecipanti a questo specie di "sabba fotografico", noi compresi, si scatenano in una sarabanda di click, nella speranza di fissare nelle proprie immagini la magia estrema di questi cromatismi, aiutati in questo dagli utili consigli tecnici della nostra esperta accompagnatrice.
Il vero spettacolo si svolge guardando verso l'alto, dove i giochi di luci e ombre sono più intriganti; questo facilita l'opera dei fotografi.
Il percorso all'interno del canyon dura una quarantina di minuti e alla fine si sbuca in un letto di fiume più largo che, a detta della guida, durante le piogge può anche arrivare a riempire totalmente la gola, motivo che induce gli organizzatori ad evitare le visite nei periodi di piogge certe.
Il ritorno si svolge per lo stesso percorso e districarsi nelle parti più anguste non sempre risulta facile, perche ovviamente dietro di noi ci sono altre ondate di visitatori, ma in breve usciamo dal tunnel e, fatte le ultime foto, ci avviamo al nostro mezzo di trasporto, che ci riporterà alla nostra auto.





 



 







Da qui, paghi da tanta bellezza, ci avviamo verso Sedona, attraversando paesaggi che dal semi-desertico si trasformano gradualmente in una fitta foresta di conifere, fra le quali si cominciano a vedere i primi contrafforti delle belle montagne attorno a Sedona.

sabato 14 maggio 2016

White Pocket



Ovviamente la nostra lotteria per cercare di andare a vedere The wave è fallita....
D'altronde c'erano a disposizione 20 permessi con 2000 pretendenti....veramente dura!
Abbiamo però un piano B che, alla prova dei fatti, si rivelerà molto soddisfacente: la White Pocket!
Di primo mattino ci presentiamo all'appuntamento con le guide turistiche che ci accompagneranno, opzione resa quasi obbligatoria dalla lunghezza e dalla complessità del percorso di avvicinamento a questo sito.
Siamo in cinque su un rombante gippone della General Motors e, quando chiediamo quanto tempo ci vorrà per raggiungere la zona, ci viene risposto: "Two hours...."
Per un tratto di una quarantina di km seguiamo con la nostra auto il buon Brett  che ci accompagnerà durante questa escursione, quindi svoltiamo a destra in una sterrata e qui lasciamo il nostro veicolo per proseguire sul grosso fuoristrada.
Ci troviamo quasi a metà del percorso e la sterrata, che per circa metà si presenta ben percorribile, diventa poi un sabbioso tratturo che, con diversi saliscendi e un'andatura più moderata, ci porta a destinazione.
Arrivati al parcheggio già si presentano le prime bianche formazioni rocciose.
In questa zona però, nel corso dei millenni, le sedimentazioni hanno creato una grande 


varietà di colori dovuta a diverse stratificazioni.
Difatti quello che si potrebbe chiamare "piano terra" rivela il solito bel rosso mattone, tanto presente in queste lande, sovrastato da un importante sedimentazione di colore biancastro, essa stessa in arenaria, come del resto lo strato sottostante.
In quelli che non esitaremmo  a chiamare "monumenti naturali" presenti in questo bel posto poi, questi colori si mischiano e si attorcigliano in curiosi riccioli, si stendono in armoniose onde e si accumulano in bizzarre e relativamente alte formazioni, quasi fossero la schiena di un gigantesco drago preistorico o cervelli di antichi giganti umanoidi, ai piedi delle quali numerose pozze d'acqua, trattenuta dalla roccia impermeabile, caratterizzano il paesaggio e danno il nome di "White Pocket" a questo suggestivo scenario.
Brett ci spiega che rimangono colme per gran parte dell'anno, diventando bene prezioso in questo territorio semi desertico, servendo da abbeveratoi ad animali selvatici e bestiame.
Ci addentriamo in questo variopinto labirinto per un paio d'ore e quando cerchiamo di raggiungere il parcheggio ci accorgiamo di esserci mezzi persi.
Per fortuna il nostro accompagnatore, che conosce i suoi "polli", ci recupera molto velocemente e ci rifocilla adeguatamente.
Alla fine del lunch ci accompagna poi a visitare una grande grotta, sulla cui volta sono incisi degli interessanti petroglifi, opera degli Anazasi, risalenti a circa un migliaio di anni fa.
La White Pocket non è molto lontana e concordiamo un'altra breve visita, per sfruttare le rinnovate e migliori condizioni di luce.

Alla fine rizompiamo sul rombante bestione e ci facciamo sbatacchiare come panni in una centrifuga, fino ad arrivare alla nostra auto, che ci condurrà a Page, nostra tappa notturna.