martedì 30 agosto 2011

In viaggio con Zoogii. Appunti disordinati di un viaggio in Mongolia

Ho trascorso 3 settimane in Mongolia assieme ad altre due donne.
Un viaggio straordinario, ricco di esperienze ed emozioni.
Sono salita su dune e vulcani, ho valicato catene montuose, ho guadato fiumi, mi sono persa, con i miei pensieri, su altopiani sconfinati, ho visto il volo dell'aquila, del falco e dell' avvoltoio, ho assistito a tramonti indicibili.....
Questi sono i miei appunti di viaggio:

Il nulla

"La Mongolia è Ulaan Baator e tutto il nulla che c'è intorno.
A chi mi chiede cosa c'è da vedere in Mongolia rispondo: "Il nulla!"

Il nulla non è cosa per tutti, non è facile da affrontare, bisogna essere preparati.... e forse è per questo che in Mongolia il turismo è ancora agli albori.
Il nulla attrae e respinge, cattura e libera al tempo stesso, affascina e sconvolge.
In Mongolia il nulla significa paesi senz'anima, strade senza asfalto e senza fine, ger senza elettricità, un maestoso senso di vuoto, solitudini senza rassegnazione.
Senza, senza, senza.....una costante in Mongolia, dove tutto è essenziale, ma tutto ha un senso.
Ma qui il nulla può diventare un orizzonte senza fine, la volta del cielo stellato sopra di te, la sensazione della tua ineffabilità, rapporti umani intensi.....

Zoogii

Zoogi, la nostra guida/autista è un tipo silenzioso, parla solo quando è necessario, ma si prende cura di noi impeccabilmente, mostrandosi sempre gentile e disponibile.
Con la gente del luogo però appare sempre piuttosto rude e si rivolge a tutti con tono di comando.
Gli chiedo perchè e lui mi risponde che questo è il suo modo di fare.
Potevo starmene zitta...... Sarebbe stato meglio!
Un paio di volte mi arrabbio con Zoogii perchè arriva in ritardo, ma lui, candidamente, riesce sempre a giustificarsi, e la mia rabbia sfuma.
Poi, per farsi perdonare, ci compra una bibita, ci offre un gelato o un sorso di vodka, ci scatta una foto...

La duna

Salgo sulla duna.

La duna non è una montagna, non ha sentieri, non ha indicazioni nè tracce.
Zoogii, davanti a me, sale dritto sul ripido pendio sabbioso e io lo seguo, con fatica, due passi in avanti e uno indietro, sprofondando nella sabbia, che mi scivola via sotto i piedi.
Percorro solo 300 metri di dislivello, ma mi sembra di aver scalato l'Everest.
Forse è il caldo o la colazione che mi pesa sullo stomaco, così decido di contare fino a 20 e poi fermarmi, poi ancora  fino a 20 e di nuovo sosta....
Guardo in alto: Zoogii è già in cima e io penso che ancora 3 o 4 soste e poi ci sono, ma ad un tratto, nel silenzio che mi avvolge, sento le dune cantare!
Singing dunes, ora capisco il significato del loro nome!
So che c'è una spiegazione scientifica a questo fenomeno, ma io preferisco pensare che le dune cantano, accompagnate dalla musica del vento, perchè sono vive.

L'ospitalità

Sono tornata indietro nel tempo e mi sono trovata fuori dal tempo.
E' successo quando sono entrata in una ger di allevatori nomadi:
- dentro c'è la stufa accesa, la carne di capra ed il formaggio stesi ad essicare, un paio di letti e una credenza
- fuori ci sono i cavalli, le capre e il carro per gli spostamenti
Tutti ci accolgono con spontaneità, ci fanno accomodare all'interno e ci offrono yogurt, latte di cavalla, formaggio....
Io però mi sento di troppo in questo posto, al quale so di non appartenere, nonostante gli altri mi trattino con naturalezza.
Non è una visita la mia, è l'invasione del turista, che vuole vedere tutto, con la presunzione di poter capire tutto.
Trovo una scusa e dico che è tardi e  dobbiamo andare, cercando di uscire in punta di piedi da questo luogo che non ha bisogno di me.

Le strade

Non ci sono pressochè strade in Mongolia e neppure cartelli.
Ci sono solo piste dissestate e corsi d'acqua da attraversare con ponti che, quando ci sono, non danno sicuramente l'impressione di stabilità e solidità.
Così ogni spostamento, breve o lungo che sia, diventa un'impresa piena d'incognite.
Ed è impossibile viaggiare rilassati: le buche, i sassi, la sabbia, le improvvise discese o le ripide salite sono ostacoli che mettono continuamente in equilibrio precario il veicolo su cui stai viaggiando.
Le forature sono all'ordine del giorno e anche gli autobus non sfuggono a questa logica, così un viaggio di 300 km può durare anche più di 10 ore, tutti stipati come sardine, al limite della vivibilità.
Non è neppure insolito impantanarsi nel fango. Capita anche a noi, e qui sperimentiamo la solidarietà mongola, tipica di un popolo abituato ad aiutarsi reciprocamente per superare le difficoltà.
Basta avere pazienza..... ma noi non siami più capaci di essere pazienti.

Gli insetti

Tutte le sere, o quasi, dobbiamo ingaggiare una dura battaglia con degli insetti neri corazzati che si insediano nelle nostre ger, coperte comprese.
Sono innocui, lo sappiamo, ma non riusciamo a vincere la sensazione di fastidio che ci provoca la loro vista, soprattutto dopo averli avuti come ospiti tra le lenzuola e tra i capelli. Sono dappertutto e quando spegniamo la luce sentiamo i "tic" delle loro cadute, che ci impediscono di prendere sonno.
Una delle ultime sere trovo la ger invasa dai ragni.
Sono lì, immobili e minacciosi sulle pareti e sul tetto e li guardo impotente sapendo che ci devo convivere, almeno per una notte.
Al mattino, quando sollevo la coperta dal letto, mi accorgo di aver dormito in compagnia di tre ragni.
Mi domando se i ragni mordono....... I segni di punture sulla mia pelle confermerebbero i miei dubbi.
Mi rendo conto che questo è il prezzo che noi occidentali dobbiamo pagare per visitare questi posti straordinari.

La fine


Non so più dove sono,  non controllo più la cartina, il programma di viaggio e mi affido completamente a Zoogii, diventato ormai il nostro "faro".
Sono persa in mezzo al nulla, che mi intimidisce e mi sovrasta con i suoi spazi grandiosi e che inesorabilmente mi accompagna da un luogo all'altro, in un susseguirsi di montagne, laghi, foreste e verdi praterie.
Qui tutto ha un che di primordiale e sembra che tutto debba ancora avvenire.
I miei occhi si illuminano continuamente, assetati di spazi incontaminati e di solitudine.
Intorno a me animali e ancora animali.
La vita delle persone è scandita dal ritmo dei cavalli, degli yak o delle capre.
Capre a volontà, persino nel cibo.
Mangiamo il Khorkghog, uno stufato di montone cucinato in una sorta di pentola a pressione, con l'aggiunta di sassi raccolti nel fiume e prima di iniziare il pasto sfreghiamo tra le mani le pietre unte e bollenti per sprigionarne le proprietà benefiche accumulate durante la cottura.
L'odore delle capre, essenza di questo luogo, penetra dappertutto e impregna persino i miei abiti, la mia pelle.
Siamo in Mongolia e come dice un proverbio mongolo:

"Chi beve l'acqua di una terra straniera deve seguirne gli usi e i costumi"


sabato 30 aprile 2011

Girovagando per la Grecia settentrionale

Io e Mauro partiamo per la Grecia settentrionale all'insegna del “fai da te
Le notizie che troviamo sul web sono poche e frammentarie, ma bastano per avere un'idea di ciò che intendiamo fare.

A parte la zona delle Meteore, frequentata dai turisti durante tutto il corso dell'anno, visiteremo una Grecia poco conosciuta, quella delle montagne, dei boschi, delle gole e dei villaggi sperduti sui fianchi delle pareti rocciose, collegati da antichi sentieri e scalinate, dove il tempo sembra essersi fermato.



 

Nostra prima tappa, dicevo, è Kalambaka, porta d'accesso ai pinnacoli rocciosi delle Meteore, dove Mauro vorrebbe arrampicare........ 














































 ma dopo due giorni di pioggia incessante, durante i quali facciamo un giro a piedi per visitare i monasteri, decidiamo di abbandonare questo luogo per recarci nella regione della Zagorohoria, un gruppo di 46 villaggi nascosti tra le montagne del Pindo, dove si trova anche il Canyon di Vikos, lungo 12 Km. e profondo circa 900 metri.

                                           




Secondo il Guinness dei Primati si tratta della gola più profonda del mondo!
Decidiamo di scendere fino al fiume partendo dal villaggio di Monodendri e percorriamo un tratto della gola, ma dopo tre ore di cammino siamo costretti a risalire, perchè il sentiero conduce fino a Vikos da dove è impossibile, in giornata, ritornare al punto di partenza.






L'indomani decidiamo di raggiungere il rifugio Astraka, che prende il nome dalla montagna che lo sovrasta.





 
Partiamo questa volta dal villaggio di Mikro Papingo, un piccolo insediamento montano a circa 1.000 metri d'altezza, gemello del più grande Megalo Papingo.
Il sentiero attraversa all'inizio un bosco rado, disseminato qua e là da piccole radure erbose, e poi esce allo scoperto, zigzagando sulle pendici montuose del monte Astraka ancora in gran parte ricoperte di neve.



Dopo due ore di cammino arriviamo ad un passo e finalmente intravediamo il rifugio: sembra lì, a portata di mano, ma impieghiamo ancora una mezz'oretta per raggiungerlo e da lì la vista si apre su una conca quasi completamente innevata, sul cui fondo si trovano i laghi del Drago.

















Non c'è nessuno in giro e ci sediamo all'esterno del rifugio, ancora chiuso, crogiolandoci al sole. 






Poi, non ancora contenti, decidiamo di seguire il crinale erboso ricoperto di sfasciumi che parte dal rifugio e raggiungiamo una cima di cui neppure conosciamo il nome.
Anche da qui la vista non è male!






 






 

Ci facciamo strada tra i sassi per ricollegarci al sentiero sottostante e iniziamo la discesa verso valle, ritornando a Mikro Papingo da dove raggiungiamo Konitsa, una vivace località montana, adagiata ad anfiteatro sul fianco di una collina, vicinissima al confine con l'Albania.



Il giorno dopo, da Konitsa, imbocchiamo il sentiero che segue la Gola del fiume Aoös e raggiungiamo il monastero di Stomiou.












 

 








La prima parte del percorso, stretta tra il fiume e una ripida scarpata, ci regala delle splendide vedute sulle acque turchesi del fiume Aoös e poi il sentiero sale gradualmente addentrandosi nella fitta vegetazione.



 








Dal monastero il panorama della conca del fiume è a dir poco fantastico! E' Venerdì Santo e qui veniamo accolti da alcuni fedeli che ci offrono dolci locali e del tè, invitandoci a sedere. Scambiamo quattro chiacchiere con loro, che si mostrano incuriositi e interessati alla situazione politico-economica italiana e che ci danno alcune utili informazioni sul posto.
Torniamo poi sui nostri passi e decidiamo, già che ci siamo, di fare una puntata in Albania.
Ma questa è un'altra storia......

In sintesi:

18 Aprile 2011
Kastraki - Pilastro di Adrachti - Monastero di Agia Triada
dislivello           m.400 circa

20 Aprile 2011
Monodendri - Gole di Vikos
dislivello          m. 450
lunghezza        km. 10

21 Aprile 2011
Mikro Papingo - Rifugio Astraka - Cima senza nome
dislivello           m. 1150
lunghezza         km. 15

22 Aprile 2011
Ponte di Konitsa - Monastero di Stomiou
dislivello           m. 335
lunghezza         km.9

mercoledì 30 marzo 2011

Passo di Corna Piana (2133 m.)

Questo fine settimana sono rimasta sola!
Così decido, ciaspole ai piedi, di seguire Mauro in una delle sue uscite di scialpinismo.
Ovviamente non è un ripiego.....
Solo che seguire con le ciaspole e, per di più da sola, un gruppo di scialpinisti che "vanno" non è per me il massimo.
Questa volta poi dobbiamo tornare presto: c'è chi deve prendere l'aereo alle 4:00 e chi invece deve recarsi fino a Piacenza per una cena. Ce n'è per tutti i gusti insomma.....
Quando si tratta di scegliere la meta, come sempre, si mette un sacco di carne al fuoco: Guglielmo o Cimon della Bagozza?
Alla fine si decide per la Corna Piana, una meta nuova per tutti.
Naturalmente partiamo prestissimo e raggiungiamo Valcanale che sono le 7:00, ma il parcheggio è già abbastanza affollato, forse perchè tutti dubitiamo della "tenuta" della neve in queste tiepide giornate di inizio primavera.
Il cielo è limpido e l'Arera incombe su di noi, sentinella e silenziosa custode della vita e dei segreti di questa valle.
Percorriamo un tratto di strada che ci porta a degli impianti di risalita da tempo abbandonati e qui calziamo i nostri "attrezzi" e affrontiamo il primo ripido pendio che termina nei pressi di una baita.












A questo punto, uscendo dal bosco, attraversiamo i resti di una grossa valanga e qui la vista spazia: a sinistra i contrafforti rocciosi dell'Arera, mentre di fronte a noi si innalza la Corna Piana con l'omonimo Passo.















I pendii nevosi sono solcati da minuscole figure di scialpinisti all'attacco e io penso che siamo come delle formiche che con tenacia e pazienza, passo dopo passo, raggiungono il loro obiettivo.
Imbocchiamo un canale che diventa sempre più ripido e la neve, come previsto, non è un granchè. 
Ogni 3 o 4 passi il mio piede sprofonda, nonostante le ciaspole, ma seguendo le tracce degli sci, con numerosi zig-zag, raggiungo il pianoro sovrastante.

Avrò percorso circa 900 metri di dislivello e davanti a me, non lontano, vedo il Passo di Corna Piana, ma decido di tornare indietro perchè è ovvio che in discesa impiegherò più tempo dei miei compagni e quest'oggi loro non possono permettersi di aspettarmi.
Mauro è preoccupato, non vorrebbe farmi scendere da sola, perchè quel canale percorso in salita non gli piace, è troppo carico, ma gli prometto di chiamarlo al telefono non appena sarò in basso.
Scendo con cautela e quando arrivo alla base del pendio lo chiamo, poi mi fermo a riposare e guardando il panorama che mi circonda penso a quante volte, nel nostro incessante peregrinare, trascuriamo queste valli così vicine, per mete più esotiche, senza renderci conto della bellezza che in ogni stagione hanno in serbo per noi.
E come in altre situazioni, di fronte a tanta grandezza, mi vengono a mente i versi di una poesia di Ungaretti "Mi illumino d'immenso" che ben rendono le sensazioni provate.
Continuo la mia discesa fino alla "casotta" degli impianti dove mi crogiolo al sole per alcuni minuti in attesa degli altri che non tardano ad arrivare.
Una breve sosta al bar conclude la nostra uscita, mentre già alcune nuvole foriere di cattivo tempo annunciano quel che sarà la giornata di domani....


 

sabato 15 gennaio 2011

KILIMANJARO E DINTORNI

"Lo sai che i nonni hanno visto gli ippopotami?"
"Voglio vederli anch'io!"
"Ma è un viaggio lunghissimo"
"Ma io faccio un po' di nanna...."

Siamo appena tornati a casa, ma le parole di Elia risuonano ancora tra queste quattro mura e il prurito che mi provocano le punture delle zanzare mi fa sentire fuori luogo in questa uggiosa giornata invernale.
La polvere d'Africa è entrata  dappertutto: negli zaini, tra i vestiti, nelle scarpe, dentro di noi...... ed è difficile liberarsene. Ci sto provando, ma qualche granello sedimenterà nel mio animo e contribuirà a fissare i ricordi di questa esperienza.
Fisicamente sono qua, ma con la testa mi trovo ancora in Tanzania e come in un film mi scorrono davanti le immagini di questa scomoda ma intensa vacanza che mi ha portato  in un altro mondo.
Tutto è cominciato qualche mese fa....

L'IDEA

"Cosa facciamo quest'anno a Natale?"
"Potremmo andare in un posto caldo, dove ci sono delle montagne...."
Mi viene a mente la Tanzania e naturalmente il Kilimanjaro che, con i suoi 5896 metri è la montagna più alta d'Africa.
Comincio quindi a documentarmi e poi parto con l'organizzazione, prenotando il volo e contattando alcune Agenzie locali a cui sottopongo il mio programma per il quale richiedo un preventivo.
Sono in molti a rispondere, ma alla fine scelgo la Evans Adventure Tours, che mi sembra affidabile e anche piuttosto conveniente rispetto ad altre.
Evans, il proprietario, risponde prontamente e in modo dettagliato a tutte le mie domande, charisce tutti i miei dubbi e trovo su internet diversi commenti positivi di altri alpinisti e viaggiatori che si sono avvalsi dei suoi servizi.
Per quanto riguarda l'anticipo da versare lascia addiriittura decidere a me, dicendomi anche che se voglio posso pagare tutto all'arrivo, ma questo mi sembra davvero troppo, perchè immagino che anche lui debba anticipare dei soldi al momento delle prenotazioni. Gli mando quindi, tramite bonifico bancario, la somma che mi sembra più adeguata.
Il nostro programma prevede la saliita del Kilimanjaro lungo la  Marangu Route, l'unica via dotata di rifugi nei quali pernottare, a cui seguiranno quattro giorni di safari nei Parchi di Ngorongoro e Serengeti.

IL VIAGGIO

Io, Mauro e Graziella partiamo da Milano il 26 Dicembre e arriviamo a Parigi convinti che i problemi dovuti alle nevicate dei giorni precedenti siano ormai risolti.
Illusione....
Quasi per caso scopriamo che il nostro volo per Nairobi è stato posticipato di due ore e partirà da Orly anzichè dal  De Gaulle. Andiamo quindi a ritirare i nostri bagagli per poi prendere il bus che ci porterà ad Orly, certi che tutto si risolverà in fretta ma, ahimè, dopo circa un'ora arrivano i bagagli di Lella e dopo un'altra mezz'oretta arriva anche il nostro zaino, ma non il nostro "borsone".
Il tempo stringe e gli addetti dell'aeroporto ci sollecitano a prendere l'autobus, che però è già pieno e, per nostra fortuna,  restiamo a terra.
Dico per nostra fortuna perchè Mauro continua a far la spola tra la fermata dell'autobus, che attendiamo per oltre un'ora, e il punto di consegna  bagagli e, proprio pochi minuti prima  di partire, riesce a riappropiarsi del nostro bagaglio, che sembrava ormai perso e il cui recupero sarebbe stato quasi impossibile una volta arrivati in Tanzania.
Per fortuna l'aereo della Kenya Airways ci aspetta, assieme ad altri viaggiatori meno fortunati di noi rimasti senza i bagagli e, una volta imbarcati, partiamo.
Arriviamo a Nairobi che è l'una di notte, con quattro ore di ritardo sulla tabella ddi marcia e all'uscita troviamo ad aspettarci il taxi che ci condurrà in albergo, dove dormiremo solo poche ore perchè alle 7:00 verrà a prenderci un altro driver che ci condurrà alla fermata dello shuttle per Moshi.
Carichiamo zaini e borsoni sul tetto e prendiamo posto sui pochi sedili rimasti liberi.
Iniziamo così il nostro viaggio verso la frontiera tanzaniana, in un alternarsi di tratti asfaltati e sterrati che rallentano parecchio il noostro mezzo, mettendo a dura prova le nostre già sofferenti schiene.

In compenso il paesaggio che ci circonda ci ripaga dei disagi che dobbiamo sopportare.

Attraversiamo diversi villaggi e abbiamo modo di vedere come vive la gente di questi luoghi, lontana dalle grandi città. La popolazione masai è la più pittoresca e ancora strettamente legata alla propria cultura e alle proprie tradizioni.
Lungo strade polverose, che sembrano finire nel nulla, e che come lunghi nastri si srotolano davanti a noi, uomini e donne camminano senza fretta.
Chissà dove vanno e da dove vengono.....
Un viaggio lungo e movimentato, dicevo, ma quando lo shuttle ci deposita al nostro albergo a Moshi (8 ore per percorrere 350 Km...) restiamo meravigliati dalla bellezza del luogo, un'oasi di pace e di tranquillità immerso nel verde.
Qui ci accoglie calorosamente Evans, che ci accompagna nelle nostre camere, da cui possiamo ammirare finalmente "la montagna”  sgombra di nubi.
Eccomi un'altra volta in Africa!
28 Dicembre 2010 – Martedì
Oggi giornata di riposo.
Alle 11:00 incontriamo Evans, che ci dà tutte le informazioni relative alla salita che intraprenderemo nei prossimi giorni e poi ci accompagna con il suo furgoncino fino a Moshi, una cittadina caotica e vivace, come tutte le città africane, ma abbastanza anonima, con poche cose da vedere... a parte le fioriture degli alberi. Dopo un breve giro in centro e una sosta per il pranzo, torniamo a piedi al nostro albergo, dove
trascorriamo il pomeriggio rilassandoci nel giardino dell'albergo e preparando accuratamente i nostri zaini.
29 Dicembre 2010 – Mercoledì
L'appuntamento con Evans, le nostre guide e il cuoco è alle 8:00 del mattino (European time, per fortuna...).
Per arrivare all'ingresso del Parco percorriamo una quarantina di Km su strada asfaltata fino a raggiungere il villaggio di Marangu, annidato sulle pendici del Kilimanjaro, tra fitte piantagioni di banane e caffè e poi procediamo per alcuni Km su una ripida strada sterrata per arrivare fino all'ingresso del Parco dove, dopo esserci registrati, incontriamo i nostri portatori.
Scopriamo così che il nostro team è composto da ben 12 persone!
Sono quasi le 11:00 quando imbocchiamo il Mandara Trail, che attraversa la foresta pluviale, incredibilmente fitta e lussureggiante.
La nostra guida, Rutta, ci precede, mentre a chiudere il gruppo c'è Isdori.
Rutta ci mostra alcune piante e fiori a noi sconosciuti, dicendoci il loro nome e illustrandoci le loro proprietà.
Procediamo speditamente e dopo una sosta per il pranzo arriviamo a Mandara, una bella radura al limitare della foresta, dove ci viene assegnata una casetta in legno nella quale trascorreremo la notte.
Giusto il tempo di bere qualcosa di caldo e partiamo per una breve escurione al Maundi Crater, che aggiriamo, godendoci una splendida vista della pianura sottostante, dove corre il confine tra Kenya e Tanzania.
Torniamo all'accampamento che è già ora di cena, una cena che consumiamo nella “dining room”, in un affacendato andirevieni di persone di diverse nazionalità e rispettivi team, indipendenti l'uno dall'altro. Il buio cala in fretta, regalandoci un cielo che più stellato di così non si può e, alla luce delle pile frontali, raggiungiamo la nostra capanna, dove trascorriamo una notte tranquilla, nonostante i versi e i rumori provocati dalle scimmie che si aggirano nei dintorni, forse in cerca di facile cibo.

30 Dicembre 2010 - Giovedì

Si parte verso le 8:15, dopo aver fatto colazione.
Il tempo è bello, fa caldo e noi ci sentiamo in forma. Mantenendo sempre la stessa formazione percorriamo il sentiero di 12 Km che, in dolce pendenza, nonostante i 1000 metri di dislivello, porta all'accampamento di Horombo, abbandonando la foresta pluviale per attraversare un territorio riccco di eriche arboree, tra cui spuntano, di tanto in tanto le lobelie, tipiche di questa zona.
L'accampamento di Horombo è composto da casette di legno con il tetto spiovente simili a quelle di Mandara, ma molto più numerose, perchè qui si fermano sia gli escursionisti che salgono, che quelli che scendono.
Mai visto un posto più internazionale di questo! Ci sono Coreani, Americani, Austriaci, Finlandesi,  Russi....e noi siamo gli unici Italiani.Trascorriamo il pomeriggio all'interno di una sala comune mentre fuori la nebbia avvolge ogni cosa. La sera però le nuvole si diradano, regalandoci un suggestivo tramonto le cui luci illuminano, facendola risplendere, la mole rocciosa del Mawenzi, uno dei tre crateri del Kilimanjaro, alto 5150 metri.

31 Dicembre 2010 - Venerdì

Oggi, giornata di acclimatazione, raggiungiamo quota 4100 passando vicino alle Zebra Rocks, le cui striature, bianche e nere, ricordano proprio il mantello delle zebre.
Sembriamo non soffrire la quota, anche se è ancora troppo presto per dirlo.
Dopo aver superato le Zebra Rocks  attraversiamo un crinale in cima al quale ci fermiamo ad ammirare il paesaggio, sconfinato.
Da una parte il Mawenzi e dall'altra, l'Uhuru, la cima più alta del Kilimanjaro, con le sue lingue di neve.
Dal punto in cui ci troviamo è ben visibile anche la Kibo Hut, l'ultimo rifugio nel quale pernotteremo prima di intraprendere la  salita verso la vetta. Trascorrriamo una mezz'oretta chiacchierando con la nostra guiida, che si mostra curiosa di sapere come funzionano le cose in Italia e ci parla dei problemi che affliggono il loro sistema sanitario, l'istruzione, i trasporti......
Ci ricolleghiamo quindi ad un sentiero più basso che ci riporta in una quarantina di minuti all'accampamento di Horombo, dove ci aspettaa un pranzo caldo.
Passiamo il pomeriggio ad annoiarci e alla sera, non sapendo cos'altro fare, ci infiliamo nei nostri sacchi a pelo pensando a chi, in altre parti del mondo, si prepara a festeggiare l'ultimo giorno dell'anno....

1/2 Gennaio 2011 - Sabato e Domenica

"Happy new year" è l'augurio che tutti ci scambiamo stamattina uscendo dalle nostre capanne!
La nottata è stata fredda, perchè l'acqua è gelata, ma il primo sole mattutino, scaldandoci, ci dà la carica e di buon'ora lasciamo l'accampamento di Horombo lungo un sentiero di una decina di km, che sale con gradualità, abbandonando la brughiera e inoltrandoci in un ambiente sempre più deserto e arido, simile ad un paesaggio lunare.
"Good luck" ci augurano le persone che scendono e noi cerchiamo di intravedere nelle espressioni dei loro visi  se c'è traccia di successo!
Ruta e Isdori ci accompagnano come sempre e procedono lentamente, ripetendoci spesso "pole pole" e incitandoci a bere continuamente, per prevenire i malesseri dovuti all'alta quota.
L'ambiente è notevole e quando arriviamo a The Saddle, un'ampia sella di 5 km, abbiamo a destra i contrafforti rocciosi del Mawenzi e a sinistra la cupola del kibo, sulle cui pendici riusciamo a intravedere il sentiero di salita, che percorre un ripido canale ghiaioso.
Giunti alla Kibo Hut non possiamo far altro che stare chiusi in camera, sotto le coperte, poichè fuori il freddo si fa sentire....
Un ragazzo coreano, giunto poco dopo di noi, sta male ed è costretto a scendere, percorrendo a ritroso e al buio il lungo sentiero di salita.
Ceniamo alle 17:30 per avere poi qualche ora a disposizione per riposare, visto che la sveglia sarà alle 23:00 in punto.
Riposare???? Io proprio non ci riesco...... Sono eccitata e anche un po' preoccupata per la lunga salita al buio che dobbiamo affrontare e un leggero mal di testa comincia a disturbarmi, dandomi la consapevolezza della mia vulnerabilità.
Sarà l'agitazione o sarà la quota?
Alle 11:00 scatta la sveglia e dopo una frugale colazione partiamo, un gruppo alla volta, con le nostre pile frontali che illuminano la via. Mi sembra di star meglio e riesco a tenere l'andatura di Rutta, che ci precede, e che procede non troppo lentamente.
Ma non dura a lungo....
Dopo un paio d'ore il mal di testa aumenta e a questo si aggiungono nausea e vomito. Faccio un pezzettino e mi fermo, un altro pezzettino.... e poi di nuovo ferma. Siamo quasi a 5200 metri e guardo in alto, Gilmans Point mi sembra ancora lontano e Rutta mi conferma che per arrivare al bordo del cratere ci vorranno almeno altre quattro ore!
Non posso continuare così....
Allora propongo di scendere e Graziella, che come me non sta bene, si unisce alla mia richiesta.
Mauro vorrebbe accompagnarci, ma noi rifiutiamo e così il gruppo si divide: Rutta scende con noi e Mauro continua la salita con Isdori. Mentre ripercorriamo a ritroso il sentiero di salita ci rendiamo conto di quanta strada abbiamo fatto, anche se ogni tanto dobbiamo fermarci a riposare perchè stremate.
A un certo punto mi accorgo che ho con me la macchina fotografica e realizzo che Mauro non potrà immortalare il momento in cui raggiungerà la vetta. Peccato....!
Arriviamo al Rifugio verso le 4:00 e non appena ci buttiamo sul letto ci addormentiamo, anche se ci svegliamo poco dopo con un cerchio alla testa e con un forte senso di nausea.
Ci vorrà ancora qualche ora prima di cominciare a star meglio...
Usciamo all'aperto quando il sole, già alto, sembra infonderci un po' di calore e ci sediamo su un sasso ad aspettare il ritorno di chi ha raggiunto la vetta. Sono le 9:30 quando, alla base del ghiaione intravediamo Mauro e Isdori che stanno scendendo e poco dopo ci raggiungono.
Ci congratuliamo con loro, insieme agli altri membri del nostro team e siamo comunque soddisfatte per lui, ma anche  per ciò che abbiamo fatto noi. Certo, ci sarebbe piaciuto conquistare la vetta, ma il solo trekking, che ci a portato ad esplorare ambienti nuovi e a misurarci con l'altezza, vale il viaggio.
Mauro si riposa per un paio d'oore e poi tutti insieme ripartiamo per Horombo.
Effettuiamo tutta la discesa in due giorni, una discesa che ci riporta  alla civiltà e alle comodità: doccia calda, letti comodi, abiti puliti e una straordinaria grigliata al ristorante  dell'albergo!

Partiamo poi per il safari.......

CONSIDERAZIONI FINALI

In base all'esperienza vissuta mi sentirei di consigliare a chi volesse intraprendere un viaggio simile, di far riferimento  all'Agenzia a cui ci siamo appoggiati noi e che ha organizzato in modo encomiabile la nostra salita e il nostro safari.
Evans, il proprietario, si è sempre mostrato accogliente, disponibile e puntuale.
Mail: evansadventuretours@hotmail.com
Website: evansadventuretours.com

Forse sarebbe più utile arrivare in aereo al Kilimanjaro airport, vicino ad Arusha, piuttosto che a Nairobi, si risparmierebbero 2 giorni di viaggio in autobus, anche se devo dire che a me non è dispiaciuto raggiungere la Tanzania via terra, perchè mi ha permesso di attraversare paesaggi grandiosi e di entrare in contatto con questo nuovo ambiente in modo graduale.

IL PERCORSO IN SINTESI

1° giorno:      Marangu Gate m.1970 - Mandara Huts m.2700
lunghezza     7 km
dislivello       + m 730
tempo            3 h

2° giorno:      Mandara Huts m. 2700 - Horombo Huts m.3720
lunghezza      11,7 km
dislivello        + m 1020
tempo             5,30 h

3° giorno:       Zebra Rocks e ritorno a Horombo Huts
lunghezza      6,8 km
dislivello         + m 300
                         - m 300
tempo             2,30 h

4° giorno:      Horombo Huts m. 3720 - Kibo Hut m. 4703
lunghezza     11 km
dislivello        + m 983
tempo            5,30 h

5° giorno:      Kibo Hut m.4703 - Uhuru Peak m. 5895 - Horombo Huts m.3720
lunghezza     23 km
dislivello       + m 1192
                       - m 2175
tempo           13 h

6° giorno:      Horombo Huts m. 3720 - Marangu Gate m. 1970
lunghezza     18,7 km
dislivello        - 1750 m
tempo:           6 h 


Sosta durante il viaggio Nairobi-Moshi















Dalla nostra camera vista sul Kilimanjaro
                                                 
















Marangu Gate
In attesa di partire....








Ingresso al Parco



























Accampamento di Mandara











Lungo il sentiero verso il Maundi Crater
La nostra "casetta"
  




Protea
Lobelie



Il Maundi Crater






















..e non si risparmiano di certo
I portatori hanno una marcia in più
Accampamento di Horombo


                               
Sosta per il pranzo

                                                                                                                                                     





















Seneci